9 agosto 2008
Di: Charles Giuliano
Fonte: BERKSHIREFINEARTS.COM
Tradotta da: Francesca
Redatta da: Marcy
"Il Berkshire Theatre Festival stravolge il classico di Samuel Beckett."
Aspettando Godot
di Samuel Beckett
Scritta in Francese tra il 9 di Ottobre del 1948 ed il 29 Gennaio del 1949. Premiere a Parigi nel 1953 e con adattamento dello stesso Beckett nel 1975, a Berlino. Beckett , nato a Dublino nel 1906, morì nel 1989. Beckett stesso tradusse in Inglese il proprio testo.
Diretta da Anders Cato; Set di Lee Savage; Costumi di Jennifer Moeller; Luci a cura di Jeff Davis; Suono a cura di Scott Killian. Cast: Vladimir (David Adkins), Estragon (Stephen DeRosa), Pozzo (David Schramm), Lucky (Randy Harrison).
Berkshire Theatre Festival, Stockbridge, rappresentata dal 29 Luglio al 23 Agosto 2008.
“Niente da fare” dice Estragon/Gogo (Stephen DeRosa) come prima battuta della commedia di Samuel Beckett “Aspettando Godot” che sta subendo una radicale trasformazione al Berkshire Theathre Festival (in scena) fino al 23 Agosto. Quella battuta di apertura potrebbe essere vista come un consiglio per quei critici che aspirino a scrivere qualcosa di nuovo o di ispirato sulla più complessa ed influente commedia del ventesimo secolo.
Forse, proprio come Anders Cato, l’ambizioso regista della radicale produzione, dovremmo fare ‘zig’ dove altri hanno scelto lo ‘zag’. C’è parecchio zig-zag in questa versione, avant-garde, del teatro dell’assurdo di Beckett. Invidio chiunque stia vedendo questa commedia per la prima volta. Molti di noi si portano dietro un bagaglio di teatro, proprio come Lucky (Randy Harrison) si trascina in giro quegli oggetti al servizio del suo padrone Pozzo (David Schramm). Come Lucky, non ci è mai permesso di posare il bagaglio dei nostri preconcetti e guardare semplicemente alla produzione del BTF nella sua provocativa, fresca intenzionalità.
Nel corso degli anni ho apprezzato parecchie produzioni, inclusa una memorabile all’American Repertory Theatre (Teatro Retorico Americano). In aggiunta, guardavo annualmente un video di Godot insieme alla mia precedente classe di Avant-Garde all’Università di Boston. Tanto per risollevarci un po’ alternavamo la visione di Godot in classe con “Endgame” e “Krapp’s Last Tape”. Abbiamo colto ogni opportunità di vedere ogni performance di Beckett disponibile e alle volte abbiamo ricalcato la sua persona teatrale.
Dal primo momento di questa produzione, come Bette Davis avvertiva, “allacciatevi le cinture di sicurezza perché sarà una serata movimentata”. Balzando sul palcoscenico con una finta caduta, Gogo si riprende e inizia a bighellonare ed a guardare provocativamente negli occhi il pubblico accentuando il tutto con baci erotici. Più tardi Gogo e Didi/Vladimir (David Adkins) riprenderanno questa stessa strategia individuando alcune donne nel pubblico e ingaggiando una specie di linguaggio dei segni per chiedere “Qual è il tuo numero? Più tardi ti chiamo.” Tutto questo serve a spezzare la naturale barriera fra l’audience e gli attori. Inoltre ci incoraggia a domandarci, chi sono questi personaggi? Sono dei barboni o dei clown nella tradizione di Chaplin/Keaton/Laurel e Hardy che tanto hanno ispirato Beckett? Sono solo una coppia si senza-tetto che girano rubacchiando l’occasionale carota o osso di pollo rimasto dal pranzo del rubicondo Pozzo?
Tali strati di illusione e realtà non sono nuovi al teatro e trovano le loro radici nel capolavoro di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’Autore” del 1921. Ma questa è una nuova interpretazione di Beckett per come io conosco la commedia. Il che è anche più notevole dato che il drammaturgo è stato molto fermo e preciso nel dettare il modo in cui questa commedia deve essere rappresentata. Così tanto che è stato molto difficile ottenere il permesso di rappresentarla dalla sua restrittiva agenzia. Produzioni di Beckett sono state difficili da trovare in anni recenti, e questo rende questa radicale trasformazione ancora più eccezionale.
Ma è del tutto fresca e di successo? Bè più o meno. Mi spiace ragazzi ma c’è quella storia del mio bagaglio.
Per come io conosco Didi e Gogo, essi sono cupi, vaudevilliani, un po’ lenti nel capire e malinconici. E’ importante che il ritmo trasmetta la sospensione del tempo. Sono la noia ed il tedio delle loro vite che rendono reali i loro comici tentativi di suicidio su quell’albero tristemente sterile. Avere la cadenza giusta è assolutamente cruciale. Se fatta troppo lentamente la commedia diviene mortale e snervante. Ma qui il ritmo imposto da Anders Cato è fin troppo veloce. Nelle note del Drammaturgo, James Leverett, egli dice “e siamo onesti sulla noia che lascia nella sua scia: i termini sulla carta, le congelate e asciutte lezioni sul Teatro dell’Assurdo e dell’Esistenzialismo, e, affrontiamolo, le pesanti, portentose produzioni, le varie sfumature di nero, oscuramente estranee, molto lente, per qualche motivo sono giudicate ‘buone per noi’.”
E, tutto questo, si può argomentare, non c’è. Il set di Lee Savage era coraggioso e notevole. E’ semplice come te lo aspetti, solo l’albero ed un senso di natura arida, in questo caso posto in una prospettiva incanalata e diagonale. E alla fine, sul muro di dietro, c’è una porta. Quando il Ragazzo (Cooper Stanton) arriva alla fine di ogni atto per portare un messaggio del Signor Godot, sembra enorme contornato da una porta in cui entra a malapena. Mentre avanza sembra regredire ad un’altezza normale per la sua età. Davvero un bell’effetto. Come anche il taglio trapezoidale sul soffitto diagonale che sta a rappresentare il cielo e la luna di notte alla fine di ogni giorno ansioso. Ma le luci di Jeff Davis erano troppo forti e violente. Forse le luci così brillanti dovevano evitare di farci addormentare… il che è spesso una sfida con Beckett. Sentivamo il bisogno di quelle “varie sfumature di nero” di cui parlava Leverett e che sembrano essere una maledizione per questa produzione.
Nei primi momenti della commedia era difficile credere a Didi e Gogo, più che altro per il modo crudo e diretto con cui recitavano il dialogo. Non veniva lasciato abbastanza tempo per assorbire l’assurdo tedio e la poesia della loro disperazione. Gli interventi comici non riuscivano a prendere forma quando Gogo chiede una carota, ha bisogno di aiuto per andarsene o quando più tardi si mette le scarpe. Anche se erano appropriatamente abbigliati nei logori costumi creati da Jennifer Moeller, Didi e Gogo sembravano troppo riposati, normali e ben nutriti per essere i disperati vagabondi con tendenze suicide di Beckett. Il dialogo ci fa capire che avevano girato molto e che avevano perdite di memoria in cui un giorno scivolava nell’altro senza distinzione per 50 anni. In questa commedia il tempo è essenziale.
Quando la commedia sembrava stare per scivolare in un niente soporifero, tutto cambia con l’apparizione dell’enorme Pozzo e del suo schiavo/servo masochista Lucky. L’enormità del Pozzo di David Schramm ha dominato il palcoscenico ad ogni livello. Lui è il Pozzo perfetto.
Allo stesso modo, Randy Harrison ci ha fatto pensare a Lucky in modo completamente differente. Nella norma Lucky è molto più magro, più vecchio, fragile e con la barba. In questa versione Lucky è un duro giovane punk. Le sue braccia nude rivelano ferite (forse vere a guardarle da vicino) ed un intrigo di tatuaggi. Di nuovo c’è da chiedersi se siano reali o frutto del make-up. A cavallo del suo avambraccio interno c’è un largo cerotto che dà ad intendere che Lucky si droghi quando non porta in giro quei bagagli. C’erano altri elementi che stupivano e provocavano, come la parola scritta sulle nocche della sua mano e le unghie tagliate corte e smaltate di nero. Quando il suo cappello gli viene tolto, la testa di Lucky si rivela un’ammasso di capelli biondi ossigenati. Questo Lucky è così violento anche sessualmente? Lui e Pozzo hanno una sorta di strana relazione? Cosa questa su cui scolari e critici hanno a lungo speculato. Pozzo è davvero questo Godot in cui Didi e Gogo ripongono tutte le loro speranze di salvezza?
“Pensa, maiale” ordina Pozzo rispondendo ad una richiesta di Didi e Gogo. Lasciando cadere i bagagli, Lucky barcolla, rotea e borbotta attraverso il più difficoltoso ed esigente monologo del teatro moderno. E’ stato affascinante, tanto quanto lo è stata la sua risposta a “Balla, maiale.” Il pubblico era incantato e c’è stato un’applauso spontaneo non appena Lucky ha collassato sul palcoscenico. La memorabile performance riscriverà la storia del teatro. Dimostra che Harrison si sta trasformando in uno dei più importanti attori della sua generazione. Ha soddisfatto tutte le aspettative che la sua intervista a Larry Murray, scrittore della BFA, aveva suscitato.
Dunque, chi è questo Signor Godot che Didi e Gogo sono così ansiosi di conoscere? Vi risparmierò ulteriori speculazioni. Per quelle ci sono le librerie, Amazon.com ed internet. Non è cosa che devo dire io. Siamo piuttosto qui per parlare di un’ambiziosa e provocativa produzione di un vero capolavoro di avant-garde. E’ assurdo dire che la serata è passata troppo velocemente. A me piace molto rimuginare su tutte quelle cose oscure, mutevoli e strane di Godot che Leverett ridicolizza. Questo Godot è stato, bè, un po’ troppo Americano. Ma in molti aspetti, comunque, è stato favoloso.
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Tradotta daFrancesca e redatta da Marcy