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"La vita dopo Queer as Folk"

Mercoledì, 18 luglio, 2010

Di: Tom Avila
Fonte: metroweekly
Tradotta da: Francesca
Redatta da: Marcy
Se conoscete solo il Randy Harrison di Queer as Folk, non conoscete Randy Harrison.

“Potresti dirmi qual è il miglior posto in cui andare?” – Justin Taylor, episodio 1 di Queer as Folk.

Molti di noi hanno visto Randy Harrison in piedi su un marciapiede di Liberty Avenue, una sigaretta dietro l’orecchio ed uno sguardo determinato e nervoso sul viso. Dopo un turbinio di scene tagliate con in sottofondo “Deeper Love” di Ruff Driverz, abbiamo guardato un ragazzo molto affascinante, e molto giovane, fare del suo meglio per non apparire fuori posto.

Quando ho incontrato Harrison, il vero Randy Harrison, è stato in circostanze molto diverse. Le luci scinitllanti e il caos coreografato del quartiere gay creato per la televisione da Queer as Folk era molto distante. Siamo nella sala prove dello Shakespeare Theatre Company situato nell’ottava strada. La stanza grande e vuota è, in effetti, proprio l’opposto del caos.

E allo stesso modo, Harrison somiglia molto poco a Justin, il personaggio che ha interpretato per cinque stagioni sulla Showtime.

Sia chiaro, è sempre bello come quando scendeva da quel marciapeiede nel primo episodio. E quello splendido sorriso è sempre lì. Ma questa stanza sembra essere più congeniale all’attore e al punto della vita in cui si trova ora. Questo è uno spazio che è adibito all’arte e alla recitazione, uno spazio in cui lavorare e trovare il punto giusto che soddisfi l’attore e affascini il pubblico. Per lo meno quando non c’è un giornalista che lo utilizza per parlare di show televisivi che da lungo tempo sono scomparsi dall’etere.

Harrison è in città per recitare il ruolo di Sebastian nell’adattamento de La Dodicesima Notte fatto dallo Shakespeare Theatre Company. Come molte delle commedie di Shakespeare, La Dodicesima Notte tratta di equivoci sull’identità e di personaggi che non sono ciò che sembrano. E’ ironico perché appare subito chiaro che confondere Randy Harrison con il Justin di Queer as Folk è un grave errore.


Metro Weekly: Queer as Folk è stato il tuo primo show televisivo?

Randy Harrison: E’ stato il mio unico show televisivo.

MW: Quando la serie è iniziata, lo sapevate che stavate facendo qualcosa che nessuno aveva mai visto prima?

Harrison: Sapevamo che una cosa del genere non era mai stata fatta prima sulla TV Americana.

MW: E tu facevi teatro anche mentre recitavi in Queer as Folk?

Harrison: Sì, e anche prima.

MW: Com’era fare TV e anche teatro? Una delle due era qualcosa che non vedevi l’ora finisse così potevi dedicarti all’altra?

Harrison: Sì, ho sempre voluto tornare a fare teatro.

MW: E allora cosa ti ha spinto a fare un’audizione per la televisione?

Harrison: Farò sempre auduzioni per ogni cosa che mi interessa. Allora avevo appena finito la scuola e mi ero appena trasferito a New York. Facevo più musical di quanti volessi farne e sapevo che avrei dovuto cambiare le cose o sarei rimasto intrappolato. Per cui ho preso un appuntamento con un agente con il quale lavoravo saltuariamente, e mi hanno fatto un’audizione registrandola su una cassetta. Mi hanno richiamato due volte e poi ho avuto la parte. E visto che è tutto successo molto in fretta – avevo avuto la mia equity card solo pochi anni prima – non ero nemmeno nervoso. Tutto mi sembrava privo di senso.

MW: Privo di senso? Davvero?

Harrison: Sì, perché era tutto molto arbitrario. Era tipo, “Faccio l’audizione per uno show televisivo?” Okay. Sia come sia. E mentre facevo l’audizione, pensavo a quando mi avrebbero richiamato perché significava andare a Los Angeles. Stavo già pensando di trasferirmi a LA perché credevo che spostarmi mi avrebbe aiutato a fare meno musical. Pensavo che LA potesse essere un posto migliore per me.

Pensavo solo che fosse un viaggio gratis a LA. Ma non credo che il volo fosse di prima classe… o sì? (ride) Ma è stato bello. Avevo una stanza d’albergo gratis. Voglio dire, lavoravo in piccoli musical. Avere un biglietto per LA non era una cosa a cui ero abituato.

MW: E ti eri già dichiarato quando hai fatto l’audizione?

Harrison: Oh sì. Mi sono dicharato a 16 anni.

MW: E quanti anni avevi quando hai iniziato a lavorare nello show

Harrison: 22.

MW: Showtime ha accompagnato lo show con un disclaimer che diceva: “Queer as Folk è la celebrazione delle vite e delle passioni di un gruppo di amici gay. Non intende affatto riflettere la totalità della società omosessuale.” Ma è stato strano? Eri un giovane ragazzo gay che aveva il ruolo di un giovane ragazzo gay.

Harrison: Non è mai stato strano perché io mi sono dichiarato già quando ero un teenager. Essere dichiarato non è mai stato strano. Quello che era strano era essere in TV ed essere… non famoso… ma, sai, avere gente che ti riconosceva. Anche adesso alcune persone pensano che io sia ciò che non sono a causa dello show.

Non penso c’entri molto col fatto di essere dichiarato. Penso che chiunque lavori in televisione interpretando un personaggio per lungo tempo abbia gli stessi problemi. E’ strano rappresentare qualcosa che non hai creato tu e che non sei tu.

Sono certo che abbia avuto degli effetti, che abbia reso difficile per certe persone vedermi in modo diverso, ma penso che mi abbia anche aperto molte opportunità.

Cerco davvero di non pensarci molto. Se faccio ciò che voglio sono felice. Ma ci sono volte in cui mi dico, “Un altro copione per fare quello? No. Non mi interessa. No.” Finisci per rifiutare molte cose, e per combattere probabilmente più duramente per avere cose che siano differenti.

Ma è stato molto tempo fa. Abbiamo iniziato lo show 11 anni fa, e lo abbiamo concluso da 5 anni. E da allora non ci ho più pensato.

MW: A parte quando un giornalista ti ci fa pensare. Lo trovi frustrante?

Harrison: Non proprio. Me lo aspetto.

MW: E ci sono ancora molti siti web parlano di te ai tempi di Queer as Folk.

Harrison: Davvero?

MW: Non lo sai? Non metti mai il tuo nome su Google?

Harrison: No. Non mi cerco. Non leggo nulla di ciò che viene scritto su di me. Non lo faccio.

MW: Mai?

Harrison: A volte, magari un pezzo di intervista sonora o qualcosa del genere se qualcuno me la manda. Ma di solito no. Evito tutto.

MW: Leggi le recensioni?

Harrison: No.

MW: Hai mai letto una recensione?

Harrison: Sì, ma ho smesso perché, in mezzo a un sacco di buone recensioni, ne ho letta una che mi ha quasi reso impossibile lavorare nello show. E’ stato qualcosa che mi ha ferito. Ed ho capito che non c’era motivo. La recensione non aveva importanza per me, né per nessuno degli altri partecipanti al progetto, per cui perché rischiare di leggere qualcosa che potrebbe rendermi incapace di fare il lavoro per cui sono stato scelto?

MW: Come hai fatto a superarlo? Perché mi rendo conto che dev’essere stato un momento molto pesante quello in cui ti sei detto, “Non so se riesco ancora a fare questa cosa.”

Harrison: Ho continuato ad esibirmi ma è stato molto più difficile. Il fatto che una recensione potesse distrarmi in quel modo mi ha fatto capire che non valeva la pena di rischare tutto. E comunque non mi aiuta.

Tu lavori e crei uno show con i tuoi compagni attori, con lo scrittore se è ancora vivo, con il regista, tutti insieme. E quando è pronto e và in scena, tu hai finito. Fai il lavoro che stai facendo.
Non so. Penso che il bisogno di leggere recensioni sia la ricerca di qualcosa che non si avvererà mai. Ami sapere che il lavoro che fai funziona. Ascolti quando la gente dice che uno show sta avendo buone recensioni, e ne sei felice. Tipo, “Oh bene, sono contento.” Abbiamo lavorato duramente e pensiamo sia bello. Ma la metà delle volte tu lavori molto duramente, e pensi sia un grande show, e tutti lo odiano. Oppure, non sei sicuro che funzioni ma tutti lo amano. E’ una cosa completamente arbitraria.

MW: Quando facevi interviste per Queer as Folk, alla gente interessava sentirti parlare del tuo lavoro a teatro?

Harrison: Non mi ricordo. Penso che fossi io a parlarne sempre. Ti facevano la domanda che pretendeva una profezia sul resto della tua carriera. Cosa farai quando sarà finito?
Sarei semplicemente tornato a fare teatro. E ciò che amo. Io ne parlavo ma, per qualche motivo, alla gente interessava meno della televisione.

MW: Cosa ti ha portato al teatro? Quando hai iniziato?

Harrison: Ho iniziato a recitare quando avevo 8 anni. Ho visto una commedia quando ero molto piccolo ed ero ancora nell’età in cui il teatro mi toglieva il respiro. In realtà mi capita ancora.
Ma era come se il proscenio fosse lì ed al di là c’era un mondo totalmente diverso dove succedevano cose magiche. Poteva accadere di tutto. Volevo essere dall’altra parte del proscenio ed entrare in quel mondo.

MW: Ti ricordi che commedia fosse?

Harrison: Sì. Sì, me lo ricordo. E’ un po’ imbarazzante. Era Peter Pan con Sandy Duncan. Avevo 5 anni, lei era in tour con Peter Pan e credo che ad un certo punto sia volata sopra noi del pubblico. Nella mia fantasia, che è molto vaga, ho pensato che potevo toccarla, come se volasse proprio sopra di me.

MW: Mio nipote, che ora ha più o meno quell’età, ha appena visto Mary Poppins a Broadway, ed ha avuto un’esperienza simile. Mary Poppins è volata sopra di loro sulla balconata, e lui continuava a chiedersi dove fosse andata.

Harrison: E’ fantastico.

MW: Ogni show dovrebbe includere persone che volano sopra il pubblico.

Harrison: Noi voliamo ne La Dodicesima Notte.

MW: Per cui hai avuto questa esperienza magica. C’è stato un momento mentre facevi teatro in cui hai realizzato che questo era quanto? Questo era ciò che avresti fatto?

Harrison: No, è stato un insieme di cose. Ho iniziato perché lo amavo e volevo davvero farlo. Sin da quando avevo 8 anni, ho fatto 2 o 3 commedie l’anno, lavorando costantemente. Per cui dopo un po’ mi sono detto, “Continuerò a farlo.” Penso di aver saputo a 12-13 anni che avrei decisamente recitato professionalmente.

MW: Hai fatto un bel po’ di cose diverse.

Harrison: Penso di sì. Ci sto decisamente arrivando. Ho combattuto per iniziare a fare tutto ciò che volevo fare

MW: Bè sei qui per fare Shakespeare, ed hai fatto Wicked. Hai fatto Equus. E’ una bella varietà.

Harrison: Lo so, è molto vario vero? Penso che una delle cose che ho fatto sinora e che preferisco è Aspettando Godot, del Berkshires. Penso fosse una produzione molto molto buona. Aveva un meraviglioso regista, una meravigliosa compagnia, e il pubblico ha gradito molto ciò che abbiamo fatto. Amo la commedia. Amo Beckett. Penso che molte volte Beckett viene calcificato nelle performances. Le persone rimangono legate all’idea di ciò che è e di cosa significa, ed è difficile per il pubblico liberarsi del preconcetto sul modo in cui dovrebbero reagire alla commedia. Le persone si aspettano che sia più accademico. Penso che qualcosa di quella produzione – e non so dire cosa – abbia fatto sì che la gente la vedesse in modo nuovo e ciò l’ha fatta rispondere in modo più umano.

E’ come quando parlavo del fatto che non leggo le critiche. Non ho letto critiche dello show, ma al contempo il pubblico – metà del quale era composto da miei amici – ha risposto molto bene. Capisci quando qualcuno risponde davvero alla performance, e che la commedia ha significato qualcosa per loro e li ha colpiti come non si aspettavano.

Ed è per questo che diventi un attore. Quando vedi un teatro del genere pensi, “Spero di poter essere in una produzione che colpisca le persone tanto quanto questa ha colpito me.” E credo che Godot abbia fatto questo per molte persone a cui tengo e che rispetto, e questo mi ha reso felice.

MW: E’ la prima volta che fai teatro qui a DC?

Harrison: Sì. Sono felice di essere a DC. Volevo lavorare qui da molto tempo. E’ una città che ama molto il teatro. C’è un gruppo di attori molto talentuosi che hanno base qui e lavorano qui tutto il tempo. Ci sono teatri molto famosi – e la paga non è male. (ride)

MW: Questo è il segreto di DC che nessuno sa.

Harrison: Lo so! Penso che l’idea che New York sia il centro del teatro Americano a questo punto sia falsa. Ci sono molte cose in tutto il Paese, e la competitività ed i costi del teatro a New York fanno in modo che il buon teatro non sia più molto presente lì.

MW: Dove altro hai recitato?

Harrison: Sono stato molto a New York. Ho lavorato molto off-Broadway. Ho fatto Wicked. Ho lavorato al Guthrie di Minneapolis (col ruolo di Tom Wingfield in the Glass Menagerie). Ho appena lavorato al Yale Rep di New Haven (col ruolo di Andy Warhol nel musical Pop!). Ho lavorato con la Compagnia SITI di Anne Bogart quando erano in Alabama, ed è stata un’esperienza molto interessante. E poi nel Berkshires.

MW: E poi sei uno Yankee del Sud.

Harrison: E’ strano, eh?

MW: Perché sei cresciuto a Nashua, NW, per parte della tua infanzia…

Harrison: … e poi Atlanta. Ultimamente mi sento uno Yankee. Abbiamo lasciato Nashua quando avevo 11 anni, e poi sono cresciuto ad Atlanta. Ma non mi ci sono mai sentito a casa. Sono andato a scuola a Cincinnati, e mi sono sentito ancora meno a casa. Ma da quando ho iniziato a lavorare al Berkshires e nel west-Massachusets, mi sento riconnesso con l’area del New England. Sarà sempre la mia casa. Ho ancora dei familiari lì. Mia zia è lì. Ma ora è più una casa delle vacanze, il che non è male.

MW: Sei già stato al Berkshires quest’anno?

Harrison: Sì, ho recitato in Finale di Partita di Beckett. Ho avuto il ruolo di Nagg. E’ stato bellissimo. Come ho detto, amo Beckett. Amo il suo uso del linguaggio. Amo parlarlo. Amo vederlo.

MW: E cosa ci facevi in Alabama?

Harrison: Ho studiato con Ann Bogart, penso fosse mentre facevo Queer as Folk. SITI, la sua compagnia, aveva sede all’Actor's Theatre di Louisville quando io studiavo ancora a Cincinnati. Guidavo per un’ora e andavo a vedere il magnifico lavoro che facevano. Avevo 19-20 anni al tempo e mi ha davvero cambiato la mente.

Per cui, studiavo con loro e loro stavano mettendo su una produzione… E’ interessante, in realtà. Stavano rimontando una produzione che esisteva già – proprio come faccio io qui. Per cui, ho già fatto una commedia di Shakespeare a ritmo molto veloce. In termini di stile sono molto diverse, ma il processo delle prove è lo stesso.

Volevo lavorare in quella produzione per cui sarei andato dovunque. E’ stato divertente, ma era strano essere in Alabama ad un festival su Shakespeare che non aveva ancora deciso cosa volesse essere. Credo che lo stesso festival faccia dei musical ora.

MW: Che è poi ciò che hai iniziato a fare tu, vero?

Harrison: Sono andato a scuola all’ University of Cincinnati's College–Conservatory of Music. Al liceo ero un cantante oltre che un attore.

Il conservatorio ha un fantastico progamma di teatro musicale ma dopo anni passati a fare solo passetti di danza, pensavo, “Voglio fare Shakespeare. Voglio fare Chekov. Voglio fare Beckett. Se continuo a fare musicals sarà impossibile fare il salto da qui a lì.” Perciò ho dovuto fermarmi del tutto per lungo tempo.

Quello che faccio ora mi piace. Farò un musical ogni 2-3 anni. Dopo un po’ cantare mi manca per cui sono sempre felice quando arriva il momento e mi dico, “Penso di voler fare un musical.” E poi ci sono più lavori nei musical che pagano meglio! (ride) E’ bello quando hai voglia di farne uno.

Al tempo in cui ho fatto Wicked, ero stato senza fare musical per 7 anni. Si faceva a Broadway e c’era ancora il cast originale, anche se stavano cambiando quando sono arrivato io. Il tipo che rimpiazzavo se n’era dovuto andare – per fare Midsummer – per cui lo sostituivo per 5 settimane. Ho iniziato la settimana in cui Idina (Menzel) vinse il Tony.

MW: Niente pressioni.

Harrison: Vero? E mentre ero nel cast Kristin (Chenoweth) se ne andò ed arrivò Jennifer Laura Thompson. E’ stato molto interessante. Wicked è uno spettacolo enorme ed essere parte di qualcosa di così grande e di successo è affascinante. La sala in cui ci esibivamo era mastodontica.

MW: Ed ora sei a Brooklyn e fai parte di un gruppo di artisti?

Harrison: The Art’s Bureau. In realtà è un gruppo di persone che conosco ed amo, che sono artisti di vario genere. E’ una specie di ombrello ed un posto in cui possiamo creare le cose che vogliamo fare davvero.

E’ strano, ci sono volte in cui le cose diventano molto intense e in cui sono molto coinvolto nel fare delle cose specifiche, e poi ci sono volte in cui sono via e non succede nulla per mesi. E’ arbitrario. Al momento stanno facendo alcune letture a LA e stanno cercando di produrre la commedia di un amico. Penso potrebbe essere il prossimo progetto, ma non ne sono sicuro.

MW: Ci sono persone che sono sorprese dal fatto che la tua carriera sia così incentrata sul teatro. C’è altro che vorresti che la gente sapesse di te riguardo questo lavoro o ciò che farai dopo?

Harrison: No. Le persone me lo hanno chiesto recentemente. E rispondo di no. Non do mai volontariamente più informazioni di quelle già pubbliche. (ride)

MW: So che è passato molto tempo da quando recitavi nella serie TV, ma ritengo sia affascinante vedere come sei riuscito a fare un passo indietro e fare ciò che molti attori non sono in grado di fare. Ti sei creato una identità completa e distaccata nel teatro, in un modo che rende impossibile ora per la gente pensare, “Sto per vedere quel tipo che faceva Queer as Folk recitare Shakespeare stasera.”

Harrison: No, penso sia solo fortuna. Quando faccio le audizioni non mi sento spesso considerato in modo diverso. La metà del tempo le persone che mi fanno il casting non sanno che ero in uno show televisivo. Non penso che molti di loro l’abbiano mai visto. E’ stato uno show di successo, ma era anche molto di nicchia. Non ho usato quel successo per fare il lavoro che faccio ora. Il teatro è una cosa molto diversa. Sono ripartito da zero nel teatro.

Penso anche che i ruoli che potrei ottenere a teatro se sfruttassi il successo di Queer as Folk, non sono ruoli a cui sarei interessato. In realtà non so nemmeno che tipo di ruoli potrebbero essere. Voglio dire, Ragazzi Nudi Che Ballano?

MW: Questo era quello che intendevo.

Harrison: Lo so.

Randy Harrison sarà allo Shakespeare Theatre Company ne La Dodicesima Notte, parte del progetto Free for All, dal 19 Agosto al 5 Settembre. Visitate il sito shakespearetheatre.org per maggiori dettagli.