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randy-harrison.it
The Advocate: Randy does Andy

4 dicembre 2009

Di: Brandon Voss
Fonte: ADVOCATE.COM
Tradotta da: Francesca
Redatta da: Marcy
Il Randy Harrison di “Queer as Folk” discute il suo nuovo ruolo nei panni di Andy Warhol, tarda leggenda dell’arte, in “POP!” dello Yale Rep; parla del suo stato di riluttante icona pop “post-gay”, e in più di sue foto di nudo e della possibilità di una reunion di “Queer as Folk.”

“The Advocate” lo ha intervistato l’ultima volta per la storia di copertina del Settembre 2002, Randy Harrison aveva appena finito di girare la seconda delle cinque stagioni del dramma televisivo della Showtime “Queer as Folk”, nel quale aveva il ruolo di Justin Taylor, teenager gay, ma aveva già in mente un piano di fuga. “Ho una specie di visione di me stesso nella quale scompaio per un po’, per poi ricomparire dopo 10 anni per la strada,” diceva Harrison a soli 24 anni, quando era il più giovane attore gay dichiarato in televisione. Sono passati più di 4 anni da quando la controversa serie televisiva è finita, ma l’attore veterano del palcoscenico, che ha avuto il suo debutto a Broadway nel ruolo di Boq in “Wicked”, è rimasto molto visibile sulla scena teatrale. Ora a 32 anni, Harrison sta portando in vita un ritratto dell’artista pop-filmografo Andy Warhol nella premiere mondiale di “POP!” diretta da Mark Brokaw, un musical che si svolge al Factory con parole e musica di Maggie-Kate Coleman e Anna K. Jacobs, e che andrà in scena fino al 19 di Dicembre al Yale Repertory Theatre di New Haven, Conn. Advocate.com ha cercato di prendere il meglio dai 15 minuti dell’intervista con Harrison, il quale continua ad elevare a forma d’arte il fatto di avere una posizione “post-gay” sulla fama, l’attivismo e la sessualità.

Quanto sapevi di Warhol e del Factory prima di iniziare a lavorare in “POP!” al Yale Rep.?
Più di molti altri. Verso la fine del college mi sono molto interessato al Velvet Underground e la cosa mi ha avvicinato a Warhol. Erano i tempi in cui il video negozio di Kim era ancora aperto nell’ East Village, per cui ho affittato molti dei film di Warhol lì, tipo “Lonesome Cowboys.” Lui mi affascina. Ammiro il fatto che abbia rovesciato l’arte e creato un lavoro che sfidava le convenzioni, e parlo specialmente dei suoi film. Penso anche che lui sia davvero divertentissimo.


Hai studiato del materiale d’archivio e delle vecchie interviste a Warhol per preparare il ruolo?
Un po’ sì, ma alla fine per raccontare la storia ho dovuto lasciar cadere un bel po’ di quelle cose. Un’imitazione perfetta di Warhol non funziona per creare un musical ed una sua rappresentazione teatrale convincente. Molti dei suoi veri modi di fare non erano utili, e non si può ricreare la sua voce e continuare a sembrare Warhol. Lui parlava con un tono abbastanza monotono, quasi senza inflessione e poche articolazioni, e con un accento piatto del Midwest, e questo è completamente anti-teatrale. Mentre sono Warhol devo cantare e devo risultare credibile.

Ma visto che Warhol è un personaggio realmente esistito, non senti di avere una responsabilità nel rappresentarlo in modo fedele alla realta?
Fortunatamente, questo show ha un contesto completamente diverso nel quale introdurre Warhol, per cui non sento l’obbligo che sentirei se stessi girando un film su di lui. Il mio è un Warhol da fiction.

“POP!” non esplora direttamente la sessualità di Warhol, ma molti critici nel corso degli anni hanno esaminato il modo in cui la sua omosessualità ha conformato il suo senso estetico, e al contempo lo ha ostacolato nella sua carriera. Alcuni dei suoi contemporanei erano arrabbiati o intimiditi dalla franchezza della sua sessualità nei suoi lavori, ma lui si è sempre rifiutato di piegarsi per qualcuno. Ti ritrovi in questo aspetto della personalità di Warhol?
Oh, assolutamente. C’è questo affascinante libro intitolato “Pop Out” che è in pratica una disamina in chiave gay della vita e delle opere di Warhol. E’ interessante ricordare come sia Jasper Johns che Bob Rauschenberg fossero gay ma si comportavano da duri e per questo non volevano avere a che fare con Warhol. Per me la cosa più fantastica di Warhol è il fatto che lui intenzionalmente giocasse sull’aspetto “alla moda” del popismo – “alla moda” è il termine che usa lui. E’ una cosa che ammiro molto.

Quando “The Advocate” ti ha intervistato nel 2002, ci hai detto di essere spaventato dalla possibilità che qualcuno ti vedesse come “il ragazzo poster per qualcosa” perché tu non hai mai avuto “obbiettivi attivisti.” Considerando quanto il dibattito sull’eguaglianza di diritti per il matrimonio si sia riscaldato da allora, senti di essere diventato un po’ più coinvolto politicamente?
Sono sempre stato coinvolto politicamente, ma sono coinvolto a livello personale e non come celebrità. Andrò a marciare a Washington con i miei amici, ma non ci andrò come Randy Harrison, come una specie di portavoce, perché non sono a mio agio in quel ruolo. Ma sono attivo come ogni essere umano dovrebbe essere.

Un’altra cosa che hai detto a “The Advocate” era che “a parte il fatto che vado a letto con uomini, non mi sento davvero parte della comunità omosessuale, per una ragione o per l’altra. Ho un gruppo di sei amici, e solo due di loro sono gay.” Ora che hai raggiunto la trentina, ti senti più connesso con la comunità gay? O per lo meno, hai più amici gay?
(Ride) Non ho nessun’altro amico gay! Forse mi sento un po’ più connesso, ma non molto. Non molto è davvero cambiato da allora. Non sono coinvolto nella vita notturna gay nemmeno ora, ma sono una persona gay che vuole avere parità di diritti, per cui in quello sono coinvolto. Tutti i miei amici, etero o gay, sono coinvolti con questo.

Nel 2003, per una storia di copertina di “Vanity Fair” chiamata “Gay-Per-View TV” hai partecipato ad un servizio fotografico molto glamour a cui erano presenti i membri più importanti del cast di “Queer as Folk,” “Will & Grace,” “Queer Eye For The Straight Guy,” “The L Word,” e “Boy Meets Boy.” Come è stato avere un così grande ruolo in quel periodo annacquato della nostra televisione visto che non ti sentivi davvero parte della comunità?
Per me è stata una cosa passeggera. Ora, guardandomi indietro, comprendo come quella visibilità potesse essere vista come una sorta di progresso, ma tutto ciò che ricordo del servizio fotografico è che non vedevo l’ora che finisse.

Dici sul serio? In una foto sei ad un centimetro da Megan Mullally e sei attaccato a Thom Filicia mentre Jennifer Beals mostra la faccia in un angolo. Quel servizio sembrava molto divertente.
Davvero? Oh mio Dio, no. Mi ricordo che è stato molto stressante e faticoso. Ma io ho sempre difficoltà con i servizi fotografici, punto.

Vorresti aver raggiunto la posizione che hai ora nel mondo teatrale senza prima esser passato per “Queer as Folk”?
Non proprio, perché l’aver lavorato in televisione è l’unico motivo per cui ora ho una stabilità finanziaria. Sono certo che “Queer as Folk” mi ha aperto molte porte, anche se me ne ha chiuse altre, per cui questa è una cosa di cui sono grato.

Facendo eco alle controverse dichiarazioni che i registi Todd Holland and Don Roos hanno rilasciato all’inizio di quest’anno, Rupert Everett ha recentemente consigliato ai giovani attori gay di non dichiararsi e ha detto, “Il fatto è che non potresti essere, e ancora non puoi essere, un omosessuale di 25 anni che cerca di sfondare nel mondo del cinema.” Come rappresentante degli ex-venticinquenni omosessuali che non ha fatto molti film da quando è finito “Queer as Folk,” credi che abbia ragione?
In realtà non ho mai realmente provato ad entrare nell’industria cinematografica, per cui non so se abbia ragione o meno. “Queer as Folk” è stato un passaggio, e poi me ne sono tornato al teatro. Sono molto più soddisfatto del lavoro che ho fatto dal momento in cui è finito “Queer as Folk.” E’ stato quasi solo lavoro teatrale, ma questa era la mia intenzione, per cui faccio ciò che ho sempre voluto fare.

Ma pensi che esserti dicharato abbia danneggiato la tua carriera?
Non so quali decisioni vengono prese nelle sale casting o cosa la gente pensa di me, per cui non so che differenza potrebbe aver avuto o che tipo di carriera avrei potuto avere se non mi fossi dichiarato gay. So soltanto che non dichiararmi era impossibile per me, per cui non lo rimpiango. L’unica cosa frustrante per me è il fatto che, essendomi dicharato, ho dovuto parlare della mia vita privata, ed è una cosa che in generale non mi interessa fare. Non penso che gli attori debbano essere obbligati a parlarne. Voglio essere apertamente gay perché è importante per me socialmente e politicamente, ma allo stesso tempo non ritengo siano affari di nessuno chi mi porto a letto.

Allora dev’esserti sembrato strano quando il New York Magazine ti ha messo sulla copertina del suo numero del 2002, indicandoti come “L’icona gay post-gay.” Cosa ha significato per te?
Al tempo – e questa è una sensazione che ho provato molto spesso mentre facevo “Queer as Folk” – ero frustrato dal fatto che la communità gay venisse ghettizzata, e mi riferisco alla mentalità del “noi contro di loro” che contrappone gay e etero. Per cui ho voluto leggere il fatto del “post-gay” come qualcosa che volesse andare oltre le etichette della sessualità.

Un recente articolo del Newsweek, ha riportato che i recenti personaggi gay effeminati che si vedono in show come “Glee,” “Ugly Betty,” “Entourage,” “Modern Family” e “True Blood,” più che aiutare la comunità gay, la feriscono. Cosa ne pensi della rappresentazione dei gay in TV recentemente?
Non guardo questi show per cui non so chi siano i personaggi cui ci si riferisce, ma solo il fatto che siano presenti in TV è importante. Forse gli adulti non possono usarli come giocattoli politici in qualche modo, ma io so – e questo era molto importante per me mentre facevo “Queer as Folk” – che ogni tipo di visibilità di personaggi gay dà conforto a chi ha 14 anni e vive in un posto sperduto. Ora è facile vedere due ragazzi che si baciano in TV, per cui per lo meno non si deve più andare in uno strano negozio di video per affittare film Merchant-Ivory.

Guardandoti indietro, i personaggi di “Queer as Folk”, ipersessualizzati e che abusavano di droga, possono aver fatto più male che bene nel lungo periodo?
Proprio la scorsa notte, qualcuno mi ha avvicnato e mi ha detto, “Non sarei riuscito a sopravvivere alla mia adolescenza se non ci fosse stato quello show in TV.” Per cui queste buone cose sorpassano del tutto qualsiasi effetto sgradevole lo show possa aver avuto.

Ti è mai capitato di vedere una delle repliche con scene tagliate che vanno in onda su Logo?
No. E non le guarderei. Ho tanti amici che ho conosciuto da quando lo show è finito che non lo hanno mai visto, e occasionalmente mi dicono, “Oh mio Dio! Guardavo la TV e ho visto quello show in cui c’eri tu.” E tutti mi dicono, “Quanto eri biondo!”

Quante sono le possibilità di avere una reunion di “Queer as Folk”? Io personalmente non direi di no ad uno special di Natale dal titolo, “A Very Queer as Folk Christmas.”
Sono piuttosto sicuro che non ci sarà nessuna reunion, ma io vedo il resto del cast una volta l’anno. Io vivo a New York e loro sono a LA, ma quando capito lì cerco di vedere alcuni di loro per pranzo. Andiamo tutti d’accordo.

Tornando a parlare del tuo lavoro in teatro, l’ultima volta che sei apparso su un palco di New York è stato la scorsa primavera al Public Theatre in “The Singing Forest” di Craig Lucas, una complicata storia epica in cui tu avevi il ruolo di un barista gay di Starbucks e di un poliziotto nazista etero. In una scena il tuo personaggio nazista stupra il personaggio di Olympia Dukakis prendendola da dietro in una scena che sembra durare un’eternità. E’ stata quella la cosa più surreale che hai fatto su un palcoscenico?
Sì, lo è stata. Ero molto eccitato di far parte di quel progetto perché sono un grande fan di Craig, e in pù i due ruoli che avevo erano due straordinari opposti. Avevo fatto molti lavori classici come Shakespeare, Marlowe e Beckett, ma non avevo mai lavorato in una commedia nuova sin dai tempi di “A Letter From Ethel Kennedy” nel 2002, per cui volevo davvero lavorare a qualcosa di nuovo. E’ stata una grande esperienza. Olympia è un’attrice favolosa, una grande insegnante di recitazione, ed una persona fantastica con cui condividere un posto in cui puoi vederla recitare.

Le review di “The Singing Forest” però non sono state esattamente entusiaste. Pensi che i critici non l’abbiano capito?
Oh, io non leggo le critiche per niente. Non ci riesco. Ma direi che il 60% degli attori non legge le critiche. Ti confondono e non ne vale la pena. Ho imparato ai tempi di “Queer as Folk” a non leggere nessuna delle cose che la gente scrive su di me.

Hai anche avuto il ruolo di Alan Strang nella celebrata produzione del 2005 di “Equus” al Berkshire Theatre Festival. Come sei riuscito, al contrario di Daniel Radcliffe, a far sì che nessuna foto del tuo pene venisse postata ovunque su internet?
Bé, c’erano uscieri che correvano su e giù per le file della platea e portavano via macchine fotografiche al pubblico. Però, ho sentito che c’è il modo di avere una di quelle foto – e questo non mi sorprende, conoscendo alcune delle mie fans. Non so se questa foto sia online, per cui dovresti forse farti un giro nei fan forum o nelle chat e parlare con una donna di mezz’età, un po’ sovrappeso, che probabilmente la tiene in un file sul desktop del suo computer.

Parlando di fans, lo scrittore Christopher Rice una volta mi ha detto che qualche volta lo scambiano per te in strada. Ti hanno mai scambiato per Christopher Rice?
No. Ma è strano perché lui è molto alto, no? Spesso, comunque, non vengo scambiato nemmeno per me stesso, il che è confortante.