Randy Harrison:
incontro a Parigi
Intervista di Emilie Semiramoth
Tradotta da Sunshine
Fonte: GENERIQUE[S]
In occasione della prima convention Queer As Folk e The L Word, che si è tenuta a Parigi dal 31 ottobre al 2 novembre, Randy Harrison, l’interprete del giovane e coraggioso Justin Taylor, ripercorre la sua carriera e la sua vita dopo Queer As Folk. E parla anche del suo impegno politico a pochi giorni dall’elezione di Barack Obama.
Sono ormai tre anni che l’avventura di Queer As Folk è finita. Con il senno di poi, cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Era l’inizio della mia carriera. È la prima cosa che ho fatto che ha ricevuto molta attenzione. Perciò, sono sempre consapevole dell’importanza che essa avrà nella mia carriera e nella mia vita, semplicemente. Essa mi ha permesso di avere indipendenza e stabilità economica. Grazie alla serie, nonostante la mia giovane età, ho potuto avere delle vere responsabilità, prendere delle decisioni da adulto, fare ciò di cui avevo veramente voglia ed il tutto senza preoccuparmi delle bollette da pagare… tutto ciò è stato molto importante. Ma, oltretutto, questa serie mi ha portato a Parigi, ha attirato l’attenzione di tutto il mondo e trovo questa cosa decisamente affascinante. È talmente strano che non ci provo neanche a capirla!
Artisticamente hai dovuto imparare moltissimo, vero?
Sì, è stato veramente geniale, perché avevo fatto solo teatro prima di QAF e mi sono ritrovato all’improvviso davanti ad una macchina da presa. E quando non ero di fronte alla camera, mi ritrovavo spesso dietro con i registi, in post produzione, con i montatori. Perciò, ho imparato molto in generale sul mestiere di attore, ho scoperto un mucchio di cose che ignoravo e che pensavo non mi interessassero, quindi è stata una scuola meravigliosa per me.
Avevi un certo margine di movimenti con il tuo personaggio, potevi proporre delle cose?
Sì, spesso era un lavoro fatto in collaborazione, dipendeva dagli episodi e dai registi. Ma la cosa buona è che si lavorava spesso con le stesse persone, perciò c’è stato il tempo di sviluppare dei veri legami, di conoscersi, cosa che facilitava il lavoro in seguito.
E anche con gli sceneggiatori?
In parte, sì. Alla fine di ogni stagione, prima di mettersi a lavorare sulla successiva, venivano a parlarci di ciò che avevano in mente per ciascuno dei nostri personaggi per la stagione seguente e passavamo quasi due ore a discutere di ciò che si sarebbe fatto e ne approfittavamo per lasciar scivolare qualche suggerimento, per cercare di far nascere qualche idea.
Cosa pensi di aver portato alla serie?
Mi ricordo che c’era qualcosa cui tenevo moltissimo a proposito di Justin, volevo in qualche modo provare a spiegare la sua relazione con Brian, provando a dargli una certa saggezza, poco a poco nel corso degli anni, cosa che non corrispondeva al loro punto di vista iniziale sul personaggio. Ma era importante per me che Justin non avesse un’aria totalmente stupida, e che desse veramente qualcosa di significante a Brian, benché Brian non se ne rendesse conto subito. È questa la cosa più significativa che ho portato al mio personaggio e penso che, in seguito, abbiano sviluppato la trama intorno a questa idea.
Hai avuto la possibilità di sfruttare la tua giovane età, mettendo più freschezza nel tuo ruolo?
Sì, ma essere qualcuno così giovane integrato in un gruppo di personaggi più maturi poteva essere anche un’arma a doppio taglio. Dovevo essere credibile, essendo più che il ragazzino, l’oggetto sessuale di Brian. Ho dovuto aggiungere qualcos’altro, qualcosa che solo io potevo aggiungere e che ha sicuramente giovato a Justin. Questo è ciò che mi sono sforzato di fare.
E come spieghi il successo di Queer As Folk ancora oggi ?
Non riesco a spiegarlo, veramente. Bene, diciamo che quando abbiamo incominciato a girare, mi sono detto che questa serie avrebbe attirato enormementel’attenzione. Era la prima serie del genere negli Stati Uniti ad essere sessualmente esplicita ed onesta. Non c’era mai stata una serie che aveva esplorato le relazioni tra gay e aveva dei personaggi omosessuali, era la prima volta che si lanciava una serie come questa. Penso che ciò spieghi in parte questo successo così grande. Poi, di sicuro, all’inizio, non pensavo che sarebbe durata cinque anni, ma sapevo che tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di noi.
Come hai affrontato questa improvvisa celebrità?
All’inizio è stato difficile. Io sono un ragazzo timido. Ciò non mi impedisce di parlare con la gente, ma non mi sento sempre a mio agio e posso essere facilmente sopraffatto da tutto ciò. E odiavo essere riconosciuto per strada ed essere chiamato Justin e non con il mio nome. Ora ci sono abituato! E tutto ciò non mi crea più alcun problema. Devo anche dire che apprezzo questi incontri con il pubblico, sono piuttosto belli. Non sono ancora diventato una di quelle celebrità che si fa venire una crisi quando nessuno le riconosce per strada… (ride)
La serie è chiaramente impegnata politicamente. Lo sei anche tu? Sei un militante nella causa gay ?
Non direi che sono un militante, ma sono attivo. Lo sono sempre stato. Al liceo, ho partecipato a campagne di sensibilizzazione per gli adolescenti sull’AIDS. E poi, ho appena finito la campagna per Barack Obama, in Pennsylvania, facendo il porta-a-porta. Voglio essere qui (a Parigi) quando sarà finita, potrei non tornare se giammai McCain dovesse vincere! (ride). Non capisco come si possa vivere in una società quando si ha la possibilità di impegnarsi, di essere coinvolti e non sfruttare questa possibilità. Ma non mi definirei mai un militante.
E, quindi, per la campagna di Obama hai fatto il porta-a-porta?!
Sì, ho fatto il porta-a-porta con un gruppo di persone in Pennsylvania, poiché si tratta di uno “swing state” (stato in bilico). New York vota sicuramente per il partito democratico, perciò mandano un autobus di gente di New York in Pennsylvania o nelle regioni che potrebbero pendere per l’altro partito. Così ci siamo ritrovati a bussare alla porta della gente, a parlare con essa dei problemi attuali e delle eventuali soluzioni. È stata un’esperienza interessante. In una giornata abbiamo bussato ad una cinquantina di porte, ma in realtà abbiamo potuto parlare solo con una ventina di persone. E di queste 20, forse 5 sono sembrate propense ad accordarci il voto. Lo so, sembrerebbe poco, ma è comunque importante. È un compito laborioso.
"Ho l’impressione di essere stato catalogato come attore gay ed ho finito per abituarmi a questa idea… Poiché non aspiro a diventare una star della tv, non devo necessariamente combattere contro questa idea."
Per tornare a te, non hai paura di essere catalogato come “attore gay” e di girare in tondo?
Lo sono … o lo ero. Diciamo che ho l’impressione di essere stato catalogato così e che alla fine mi sono abituato a quest’idea… Sai, ciò che mi aiuta è che ormai il teatro è al centro della mia attenzione.
È un mondo completamente diverso e per fortuna non risente di questo tipo di considerazioni. Ma poiché non aspiro a diventare una star della tv, non devo necessariamente combattere contro questa idea e contro i media, perciò va bene così. Sono sicuramente felice dove sto.
Non hai voglia di tornare in televisione?
Onestamente, la sola ragione per cui rifarei televisione è per ritrovare una stabilità economica.
E quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho appena messo su un’organizzazione senza fini di lucro nella quale abbiamo incominciato a produrre il nostro lavoro. Abbiamo già fatto un cortometraggio e l’estate scorsa abbiamo girato un lungometraggio. Inoltre, stiamo raccogliendo fondi per finirlo, avremo lavorato un anno buono per realizzare questo progetto, e gireremo un altro corto a gennaio, è il prossimo progetto in cantiere.
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Tradotta daSunshineredatta da Marcy